CPP, CLV, GMP: la ripresa parte dalle esportazioni
In questo momento di incertezza, legata soprattutto alle incognite sull’evoluzione della pandemia da COVID-19 e al fermo che questa ha causato tra marzo e aprile, molte aziende italiane hanno scelto di puntare tutto sulle esportazioni per riavviare il motore economico del Paese.
Ciò vale anche per i prodotti per la nostra salute e igiene, dai medicinali agli integratori, dai dispositivi medici ai cosmetici. Anche prima della quarantena, le esportazioni di farmaci e altri prodotti verso paesi europei ed extra-europei rappresentavano una voce importante della nostra economia, rese più facili dall’utilizzo della certificazione riconosciuta a livello internazionale, che garantisce la qualità e l’ottemperanza dei prodotti esportati alle norme del paese in cui vengono fabbricati e/o commercializati.
Una certificazione che cambia in base alla tipologia del prodotto, ma che funziona in base al medesimo principio: un’autorità competente dello stato di provenienza del prodotto certifica ufficialmente che il prodotto è commercializzato/fabbricato in quel paese secondo le norme applicabili e che può dunque essere venduto liberamente nel paese di provenienza. Questa certificazione è, appunto, genericamente nota come “certificato di libera vendita”.
In verità, quando si parla di medicinali (per uso umano o veterinario), il termine più appropriato è “certificato di prodotto farmaceutico”, meglio noto come CPP, acronimo derivato dall’inglese Certificate of Pharmaceutical Product.
I CPP possono essere richiesti dai titolari dell’autorizzazione del prodotto direttamente all’autorità competente (in genere compilando un modello preimpostato), per registrare, rinnovare l’autorizzazione o semplicemente esportare un determinato prodotto in un altro paese.
Nel CPP, le nostre autorità competenti (l’Agenzia Italiana del Farmaco per i medicinali ad uso umano, il Ministero della Salute per i farmaci veterinari) attestano che il medicinale è fabbricato conformemente alle disposizioni di legge, e riportano i dati relativi ad esso, tra i quali forma farmaceutica, via di somministrazione, contenitore primario, periodo di validità, composizione e persino le officine autorizzate alla sua produzione incluse le specifiche fasi produttive.
Nel caso dei dispositivi medici, il Certificato di Libera vendita (CLV) attesta la marcatura CE, necessaria per esportare questi prodotti nei Paesi al di fuori dell’Unione Europea. Il CLV è richiesto anche per gli integratori alimentari, presidi medico chirurgici e cosmetici. Nel caso dei dispositivi, può essere richiesta dal fabbricante o dal mandatario.
Un discorso a parte è invece quello dei Certificati GMP, rilasciati per certificare che i principi attivi, gli intermedi o i medicinali per uso umano sono stati prodotti in conformità alle linee guida sulle buone prassi di fabbricazione (GMP), come previsto dalle norme comunitarie. Tale certificazione viene rilasciata solo in seguito ad opportuni controlli (ispezioni) dei siti produttivi per verificare che tutte le disposizioni siano rispettate.
Si può quindi concludere che la legislazione italiana, europea ed internazionale è in grado di garantire la qualità, la sicurezza e l’ottemperanza alle normative anche in caso di commercializzazione all’estero, favorendo le esportazioni che tanto fanno bene alla nostra economia.
Scritto da: Maria Pia Felici
Foto di Arek Socha da Pixabay