+390677209020 | +39 0267380552 info@direnzo.biz | sedemilano@direnzo.biz

Lingua

Tamponi, test sierologici e test rapidi: come valutare l’andamento epidemiologico della pandemia da Covid-19

Controllare l’andamento epidemiologico della pandemia attraverso l’esecuzione di test rappresenta la modalità di elezione per combattere il nuovo Coronavirus.

Sono tuttavia diverse le situazioni da fronteggiare in una situazione di emergenza come quella attuale: limitata disponibilità di test a livello internazionale, accumulo di campioni da analizzare con ritardi nella risposta, carenza di reagenti, impossibilità di stoccaggio dei campioni in modo sicuro, sovraccarico lavorativo del personale di laboratorio.

Seguendo le raccomandazioni pubblicate dalla Commissione europea (EUCOMM) e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), lo scorso 3 aprile il Ministero della Salute ha emanato una circolare (n. 11715) con l’obiettivo di “adottare una strategia che individui priorità per l’esecuzione dei test diagnostici per SARS-CoV-2, per assicurare un uso ottimale delle risorse e alleviare, per quanto possibile, la pressione sui laboratori”.

test impiegati rientrano nella categoria dei dispositivi medico-diagnostici in vitro (o IVD) la cui direttiva di riferimento (98/79/CE) stabilisce che devono essere progettati e fabbricati in modo da essere adatti alla destinazione d’uso specificata, tenuto conto dello stato dell’arte generalmente riconosciuto.

Per cui anche in una situazione come quella attuale dove lo stato dell’arte è in rapida evoluzione, deve essere garantito l’impiego di test sicuri e capaci di fornire le prestazioni per cui sono stati destinati.

Dal punto di vista scientifico sono principalmente due le tipologie di test utilizzati per il Covid-19 e di cui si sta a lungo discutendo: quelli che rilevano il virus e quelli che rilevano una precedente esposizione ad esso. È chiaro che questa sostanziale differenza si traduce in una varietà di aspetti tecnici, soprattutto in termini di sensibilità, specificità, ripetibilità, riproducibilità e limiti di rilevazione. La scelta dei diversi parametri è giustificata dalla destinazione d’uso attribuita al dispositivo: screening rapido, diagnosi, conferma.

Tra i test che rilevano il virus si può fare un’ulteriore distinzione: quelli che rilevano il materiale genetico virale (mediante reazione a catena della polimerasi-trascrittasi inversa, o RT-PCR dal momento che il Covid-19 è un virus a RNA – test molecolari) e quelli che rilevano componenti del virus come le proteine sulla sua superficie (test dell’antigene).

Questi test sono eseguiti sulle secrezioni nasali o della gola, prelevate mediante l’impiego dei cosiddetti tamponi.

I test che rilevano una precedente esposizione al virus si basano sull’individuazione degli anticorpi presenti nel sangue della persona contagiata e dunque sulla capacità di risposta del suo sistema immunitario. Essendo eseguiti sul siero sanguigno, vengono anche definiti test sierologici.

Prima di poter essere utilizzati, i test devono essere validati: test inadeguati possono portare a conclusioni errate che ostacolano ulteriormente gli sforzi di controllo della pandemia.

La validazione permette di conoscere le caratteristiche tecniche dei test come la sensibilità, la specificità e dunque l’affidabilità dei risultati.

Allo stato attuale, i test RT-PCR sono quelli attualmente raccomandati per la diagnosi di Covid-19 da parte dell’OMS e del Centro Europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (EDCD).

L’allegato 1 della circolare emanata dal Ministero della Salute il 3 aprile contiene un primo elenco di kit diagnostici, con marchio CE registrati nella banca dati italiana e che sono stati validati esclusivamente dalle aziende produttrici, sotto la propria responsabilità.

La comunicazione della Commissione europea del 15 aprile “raccomanda di effettuare validazioni aggiuntive delle prestazioni cliniche dei test per Covid-19 confrontandoli con un metodo di riferimento in un numero sufficientemente ampio di soggetti della popolazione bersaglio prima di introdurre i dispositivi nella routine clinica”.

Viene inoltre raccomandata una valutazione inter pares dei risultati scientifici: a rendere più difficili gli studi di validazione sono l’attuale scarsità dei metodi e dei materiali di riferimento.

L’OMS ha avviato una procedura di valutazione (“Emerging Use Listing Procedure”) per gli IVD che rilevano il materiale genetico di SARS-CoV-2 e pone l’accento sull’importanza dei dati di sorveglianza (PMS): in base alle informazioni provenienti da tali attività, l’OMS infatti potrà decidere se mantenere o rimuovere il prodotto dalla lista.

Data la situazione di emergenza, sono stati messi a punto test molecolari rapidi CE-IVD e/o EUA/FDA (Point of Care tests, POCT) basati sulla rilevazione dei geni virali direttamente nelle secrezioni respiratorie in tempi brevi. Secondo il Comitato Tecnico-Scientifico (CTS) questi test potrebbero essere utili nei casi in cui la diagnosi di infezione da Covid-19 assuma carattere di urgenza.

Un tipo di test diagnostico rapido (RDT) rileva la presenza di proteine ​​virali (antigeni) espresse dal virus COVID-19 in un campione del tratto respiratorio. Se l’antigene bersaglio è presente in concentrazioni sufficienti nel campione, si legherà ad anticorpi specifici, in genere entro 30 minuti. Il funzionamento di tali test rapidi dipende da diversi fattori, tra cui il tempo dall’esordio della malattia, la concentrazione del virus nel campione, la qualità del campione raccolto, il modo in cui viene elaborato. Siccome gli antigeni rilevati sono espressi solo quando il virus si sta replicando attivamente, tali test possono essere utilizzati per identificare l’infezione acuta o precoce.

Potrebbero inoltre verificarsi falsi positivi se gli anticorpi riconoscono anche antigeni di virus diversi da COVID-19, come quelli di altri coronavirus umani.

Con i dati ad oggi disponibili, l’OMS non raccomanda l’uso di test diagnostici rapidi per la rilevazione dell’antigene ai fini della diagnosi clinica, sebbene la ricerca sulle loro prestazioni sia incoraggiante e il loro impiego porterebbe a una riduzione degli elevati costi dei test di conferma molecolare.

Pur essendo abbondanti sul mercato, anche l’attendibilità dei test sierologici ai fini della diagnosi è limitata: diversi studi hanno suggerito che nella maggior parte dei pazienti la risposta immunitaria avviene solo nella seconda settimana dopo l’insorgenza dei sintomi e che la produzione degli anticorpi avviene dopo 6-15 giorni. Inoltre, la capacità di risposta del sistema immunitario dipende da diversi fattori come l’età, lo stato nutrizionale, la concomitante presenza di altre patologie, l’assunzione di particolari farmaci. Per cui l’assenza di rilevamento di anticorpi non esclude la possibilità di un’infezione in atto in fase precoce o asintomatica e relativo rischio di contagiosità dell’individuo.

Inoltre, per ragioni di possibile cross-reattività con altri patogeni affini come altri coronavirus umani, il rilevamento di anticorpi potrebbe non essere specifico dell’infezione da SARS-CoV-2 portando a falsi positivi.

Dunque, allo stato attuale, fino a quando non saranno disponibili prove a supporto, i test sierologici possono aiutare a valutare l’andamento epidemiologico della pandemia, ma non possono essere utilizzati a fini diagnostici.

L’impegno e la condivisione delle informazioni tra l’OMS e le altre agenzie, le autorità regolatorie, i diversi gruppi di ricerca e gli Stati Membri è fondamentale per lo sviluppo e la corretta interpretazione dei dati sui diversi tipi di test che, a seconda delle caratteristiche e della destinazione d’uso, possono essere utili nel corso dell’attuale pandemia per la gestione clinica, per la diagnosi, per il controllo del contagio, per la ricerca epidemiologica.

Scritto da: Ilaria Perretti

Foto di fernando zhiminaicela da Pixabay